ICCOM Friends

Le storie dei nostri clienti e collaboratori: raccontiamo il loro percorso lavorativo, personale, le loro visioni.
Se hai una storia da raccontare… Scrivici!

Alberto Mossino – Presidente di PIAM Onlus

In collaborazione con PIAM ONLUS

Prima di tutto una storia di successo imprenditoriale.
Un dialogo su accoglienza e migrazione, con chi la conosce e ne parla con obiettività ed onestà.
ICCOM Friends – Alberto Mossino e PIAM Onlus, ICCOM

 

D = In quanti anni di attività e quante persone ha impiegato il PIAM e quante persone ha aiutato ad integrarsi?

A = PIAM ha 22 anni di attività e siamo partiti in quattro, adesso siamo 26 dipendenti e una decina di collaboratori.

Abbiamo accolto in questi anni circa 800 persone, un 70% con percorso in uscita soddisfacente, integrati sul tessuto nazionale con documenti regolari e una vita regolare.

 

D = Attualmente quante strutture gestite?

A = PIAM ha due strutture grandi d’accoglienza: una è Villa Quaglina che è una bella villa che era abbandonata e che è stata riqualificata e destinata all’accoglienza di profughi richiedenti asilo, ad Asti.

Nella prima periferia, è una struttura dove ci sono 45 posti. All’interno abbiamo aperto anche una trattoria.

Poi abbiamo una struttura qua in centro ad Asti, al seminario, per madri con bambini: fino a 30 posti ed è una delle strutture più funzionali che ci sono in questo momento in Piemonte per questo target, abbiamo anche aperto all’interno un asilo per i figli delle donne migranti che accogliamo.

Poi a Castellero abbiamo una casa madre-bambino con sette posti e in giro nei paesi sparsi nel nord astigiano e in città almeno una dozzina di appartamenti dove ospitiamo famiglie, nuclei familiari e gruppi di rifugiati.

Il Lago Stella è un po’ diverso perché non è una struttura d’accoglienza, ma una struttura con un bar, un circolo di pesca sportiva, dove facciamo attività culturale e ricreativa. È un luogo per il tempo libero gestito dal personale che è impiegato nell’accoglienza.

 

D = Il momento in cui ho focalizzato quanto fosse grande e importante il PIAM è stato quando ho letto un articolo su Princess che era a Londra per tenere una conferenza.

A = Era il 2017 e c’era Trust Women, una grande conferenza internazionale fatta ogni anno da una fondazione di altro livello, Trust Women Foundation in cui invitano testimoni a raccontare esperienze di successo di politiche al femminile legate anche alla solidarietà.

Quell’anno nel panel c’erano Emma Bonino, Muhammad Yunus premio Nobel per l’economia e Joanne Liu la presidente di Medici Senza Frontiere.

Erano tutti sullo stesso palco e sì, l’esposizione mediatica che ha avuto in giro per il mondo è altissima anche perché a tutt’oggi è tra le poche donne nigeriane vittime di tratta che oltre a raccontare la propria storia, sfidano anche pubblicamente i trafficanti.

Ci sono tante storie di vittime che ne sono uscite, ma sono poche, come Princess che attivamente sono coinvolte nella lotta contro la mafia nigeriana, che collaborano con la polizia, che gestiscono case di accoglienza, che vanno in giro a far campagna invitando le ragazze a scappare e dando direttamente protezione.

Nel 2016 il Guardian di Londra viene e fa un articolo su di noi.

Questo articolo piace molto, è sull’accoglienza, su storie della tratta; il Guardian torna e fa un video-documentario di 8/9 minuti, poi vanno con Princess direttamente agli sbarchi a fare l’identificazione delle vittime di tratta e delle nigeriane che sbarcavano a Pozzallo. Lì Princess con dei nostri colleghi faceva counselling antitratta alle ragazze appena sbarcate per evitare che venissero poi coinvolte dai trafficanti.

Questo video va poi sul web e fa nel giro di un mese otto milioni di visualizzazioni; a noi sono arrivati una caterva di messaggi, ma veramente tantissimi e quasi tutti in inglese da nigeriani in giro per il mondo, facendo complimenti; sono arrivati anche fondi, donazioni, sono arrivati altri giornalisti.

Princess in questo momento è nel mondo della mafia nigeriana o comunque della comunità nigeriana un po’ come Saviano contro la camorra.

Noi non lo percepiamo perché per noi è sempre Princess, la nostra collega, ma nel mondo dei nigeriani lei è famosissima, in Nigeria l’hanno ricevuta direttamente dei ministri, a Beirut l’hanno invitata in un panel governativo, è stata due o tre volte ospitata dal Papa in Vaticano come relatrice, cioè lei ha una sua figura mediatica, comunicativa, di testimonianza che è a livello mondiale.

 

D = Parliamo di una persona astigiana.

A = Vive qua, mangia qua, lavora qua, vive tutti i giorni, ha incontri per strada…

 

D = Al di là della tua cerchia di conoscenze e di amicizie quanto ritieni che sia conosciuto PIAM ad Asti?

A = Secondo me è più conosciuto in Italia che non ad Asti, ad Asti non tanto.

La provincia tende sempre a sminuire le proprie eccellenze, in generale.

Ho visto che qualcuno ha iniziato ad accorgersi di noi e a pensare che eravamo seri non perché abbiamo case d’accoglienza da 150/200 persone, paghiamo 26 stipendi regolarmente e puliti e creiamo lavoro da vent’anni; no, siamo diventati seri quando una volta ci hanno visti magari su RAI 3 in un’intervista; finché non andavi in televisione tu eri sempre quello un po’ così.

Ma penso che sia una cosa non solo legata a noi, penso che sia molto legata all’astigianità, alla provincia…

 

D = Però c’è anche il fattore che il vostro lavoro è nascosto, ci sono persone che ignorano che esista.

A = Il nostro lavoro è molto di nicchia, la tratta delle donne non è una cosa che incroci tutti i giorni.

L’accoglienza rifugiati la fanno in tanti però non è una cosa che incontri spesso; sai che c’è, ma difficilmente tu vai in un centro d’accoglienza.

Oppure magari vedi in giro la cattiva gestione di certe strutture d’accoglienza, sai che noi facciamo l’accoglienza, ci associ in negativo a dei modelli che non sono i nostri.

 

D = Però chiunque si dev’essere accorto che negli ultimi anni è cambiato qualcosa sulle strade.

A = Questo è un fenomeno che non è solamente astigiano, è un fenomeno generale a livello nazionale.

Sono cambiati i modi di migrazione, i tempi e i modi dello sfruttamento, il mercato del sesso soprattutto dopo il Covid è cambiato molto.

Si è spostato tantissimo in casa. Poi sono cambiate le rotte nel senso che in generale l’Europa non è più un continente appetibile per i trafficanti; qua fra polizia, Covid, mercato saturo, intercettazioni, legislazioni, crisi economica … il mercato del sesso tira tantissimo a Dubai, in Qatar, a Mumbai in India, dove ci sono i grandi centri commerciali e finanziari, dove ci sono gli hotel e girano i business-man per affari in trasferta e possono permettersi 200 dollari per una serata con una donna.

Una ragazza messa sulla strada qua lavora a 20 euro, anche per un trafficante non è che sia… ci sono dei meccanismi che sono molto più complessi di quello che pensiamo.

 

D = Mi riferivo anche al fatto che lo “svuotamento” delle strade è anche opera vostra, fin da quando invece questi fattori non erano così importanti.

A = Opera nostra è un po’ eccessivo, diciamo così: negli ultimi vent’anni in Italia sono stati finanziati a livello governativo dei centri come il nostro, cioè case d’accoglienza, personale che lavora nell’anti-tratta e anche la possibilità di accompagnare queste ragazze, dargli protezione e avere il permesso di soggiorno.

Allora il nostro lavoro ha funzionato bene perché eravamo come una merce di scambio: tu vedi una ragazza per strada e le dici “Guarda, possiamo parlare? Hai bisogno di una mano?”. Ma chi è che glielo dice? Glielo dice una mediatrice che ha la stessa matrice culturale perciò si capiscono subito.

Qual’è stato il vantaggio? Che abbiamo avuto la possibilità anche a livello governativo di avere le risorse e i fondi per assumere persone come Princess e Fatima, istruirle, farle diventare delle operatrici, pagarle e avere un lavoro di qualità perché hai speso dei soldi e investito.

Avendo questo sistema nazionale che ci ha aiutato abbastanza negli ultimi vent’anni, poi due jolly come Princess e Fatima che sono le Maradona dell’antitratta, sono delle fuoriclasse, quando vai a parlare con le ragazze per strada o quando devi creare un ambiente di fiducia intorno a loro hai più strumenti e puoi portare a casa dei risultati.

 

D = Per quanto riguarda le amministrazioni, quelle dei vari paesi contribuiscono o concedono solamente i siti? O dipende dal progetto?

A = PIAM vive di risorse pubbliche perché lavoriamo su programmi d’intervento sociali gestiti da più amministrazioni; ci sono fondazioni europee, politiche nazionali e politiche regionali e locali.

Il filone è quello dei fondi europei ripartiti e declinati, il Comune di Asti materialmente ha messo sempre pochissime risorse a supporto nostro, però ci ha dato in passato e anche adesso delle strutture non utilizzate in gestione e noi le abbiamo adibite a comunità.

Lavoriamo con i servizi sociali, il Comune non ci dà dei soldi, ma ci mette a disposizione dei servizi di accompagnamento: l’inserimento scolastico per i bambini, le tariffe agevolate, l’assistenza sociale … questo a prescindere dalle amministrazioni.

Negli ultimi quindici anni il Comune di Asti e l’amministrazione sono state abbastanza attente, diciamo che ci hanno ascoltato e ci hanno dato una mano; non ci hanno dato risorse, ma ci hanno dato il supporto.

Questo serve soprattutto in seconda battuta quando vai ad intercettare finanziamenti più grossi, perché far entrare il Comune di Asti o la Regione Piemonte in una rete più ampia vuol dire che puoi ambire a finanziamenti più importanti.

Non c’è un contributo, però c’è sempre stata una partecipazione a diversa intensità, ma non c’è mai stata un’ostilità rispetto quello che abbiamo fatto.

D = Invece dal privato? Prima hai accennato a contributi privati.

A = Dal privato poco, perché il privato dona poco in Italia.
Abbiamo avuto una grossa donazione anni fa di 55 mila dollari da una fondazione, magnati del petrolio polacco.

La figlia di questo magnate è una persona che si occupa di sociale ed ha una trasmissione televisiva; è venuta a sapere di noi, è venuta qua, han fatto le riprese e han fatto una trasmissione e poi hanno raccolto anche tramite quel format in Polonia delle offerte e ci hanno dato il contributo.

Prendiamo l’imprenditore che decide, anche per CSR: “Quest’anno a fronte di 50mila euro di utili che vanno in tassazione la legge ti permette di dire sostenere un’attività no-profit e quelli sono deducibili dal fisco perciò alla fine è una beneficenza quasi a costo zero”.

Qua non c’è molto questa mentalità, è molto british questa cosa che le grosse Corporation si legano a progetti sociali e investono come brand, come pubblicità e danno anche cifre che sono deducibili, è proprio un’altra concezione dell’amministrazione dell’impresa privata.

Qua da noi manca questa cosa qua.

 

D = Al di là del riconoscimento in soldi, il riconoscimento in senso lato?

A = Innanzitutto non abbiamo mai avuto gente ostile, l’atteggiamento rispetto a quello che facciamo, ma anche verso i miei colleghi in giro, quando girano per gli uffici … diciamo che mi sembra di aver capito che negli anni ci siamo affermati come una realtà di Asti conosciuta.

Magari la gente non riesce a contestualizzarci bene proprio nello specifico però mi sembra di aver capito che abbiamo una fama di un ente solido, affidabile, che ha una storia, non improvvisati, non cialtroni; ogni tanto i giornali parlano di noi, anche in televisione. Mi sembra di aver capito che siamo abbastanza stimati.

 

D = Hai mai raccontato il PIAM in un libro?

A = Ho scritto tre libri. Uno si chiama “L’amore vero l’ha fatto solo con me” ed è la storia vera di ventisei clienti, di donne che si prostituiscono che ho incontrato durante la mia attività qua nel PIAM.

Ci sono alcune testimonianze video in lunghe interviste per esempio ARTE Francia e Germania è venuto qua due volte negli ultimi cinque anni a fare dei documentari sul tema tratta, uno da 45 l’altro da 90 minuti in cui noi siamo i protagonisti.

Abbiamo tante pubblicazioni sulle riviste di settore, su testi scolastici educativi.

 

D = Delle varie sedi PIAM che abbiamo collegato con la linea Iccom mi ricordo benissimo la prima, Villa Quaglina, perché mi aveva colpito, era un ambiente particolare.

Che uso viene fatto di internet lì dentro? Lo mettete a disposizione liberamente?

A = Sì è gratuito. Lì abbiamo due linee: una per il personale, poi c’è un altro canale che invece è il wifi free per gli ospiti della struttura.

Fin dall’inizio il wifi è stato una delle richieste più pressanti per la comunicazione, Whatsapp, Facebook, mandarsi le foto … era proprio fondamentale per continuare a comunicare, stare in contatto.

 

D = Iccom ha un programma che mette sull’attenti riguardo ai pericoli di internet: i pericoli diretti, quindi truffe etc., ed i pericoli a lungo termine, perché si è sempre attaccati al telefono. Gli stranieri in generale si comportano come gli italiani da questo punto di vista?

A = Da quel che vedo io è proprio una cosa adolescenziale, generazionale.

Qua le ragazze hanno 19, 20, 23 anni ed utilizzano i telefonini come delle ragazze che stanno al parco di Piazza Roma della stessa età.

Fidanzati, Tik Tok a manetta, messaggi, foto, pose, poi qualcuna si segue i suoi predicatori che fanno la diretta religiosa e qualcuna chatta con un ragazzo.

Non vedo una differenza: è trasversale questa cosa, non è che il mondo delle migrazioni sia più o meno esposto.

Devo dire che la cosa molto interessante rispetto alle migrazioni è che comunque la tua storia te la porti dietro grazie alla rete.

Le foto, i ricordi, i contatti, gli indirizzi, i messaggi, quella roba lì passa perché tu sei collegato in rete perché normalmente tu certe cose non sapresti come raccontarle, non riusciresti a raggiungere qualcuno, tante cose te le saresti dimenticate o le avresti perse invece quella roba lì è un pezzo importante di una storia.

La classica valigia: arrivi e hai tutto quanto lì.

 

D = Invece la parte che combatti, quindi parlo della tratta, per loro internet quanto è importante?

A = Ci sono delle figure molto specializzate che vanno a studiare i profili di donne, di ragazzine deboli e iniziano a dargli contenuti o iniziano il plagio al fine di reclutarle, sfruttarle, abusarne e via dicendo.

È una cosa numericamente molto ristretta però è un fenomeno che esiste.

C’è gente legata a locali notturni, soprattutto per quanto riguarda le ragazze dell’est Europa, che sono una specie di reclutatori, che si occupano di andare ad individuare, proporre, capire tramite profili, foto, chat, per riuscire in qualche maniera ad incastrare queste ragazze.

Quello che ti posso dire è che i trafficanti utilizzano molto internet, Facebook principalmente, per ostentare la ricchezza.

Lusso, lusso, lusso … vuol dire che poi quando io vengo a parlare con te, tu sei in soggezione perché stai parlando con una persona di potere perciò sei affascinato da questo ruolo.

L’ostentazione della ricchezza da parte delle mafie è una cosa molto, molto, forte.

È culturale: io sono io e tu non sei un cazzo.

Conosco abbastanza il mondo della mafia nigeriana. Ci sono tanti di questi personaggi che scopriamo che erano trafficanti o mafiosi perché vengono arrestati, scopriamo magari che quella persona che tu conoscevi, che abitava là, che lavorava in fabbrica, aveva degli interessi criminali molto alti soprattutto in Nigeria.

E tutta questa roba è via web; ecco, la mafia criminale nigeriana sta lavorando molto in questo momento in truffe informatiche, carte clonate, darkweb e bitcoin.

Le truffe informatiche sono quelle più diffuse e c’è anche questo fenomeno incredibile dei “boy lovers”, di questi uomini che si studiano i profili delle donne 40 o 50enni. Si propongono come militari all’estero abbandonati dalle mogli, fanno innamorare via web queste donne che poi dopo gli fanno magari un bonifico o due, poi spariscono.

Questa è una cosa molto utilizzata negli ultimi anni, hanno fatto anche delle inchieste a Savona; in questa zona hanno iniziato ad aprire questo tipo d’inchiesta.

Rispetto alla Nigeria c’è una tradizione di truffe informatiche ventennale, ma proprio ad alti livelli, su siti bancari, carte di credito, cripto valute a manetta. In realtà sono molto più avanti su queste cose.

 

D = Nei paesi dell’astigiano è più difficile l’integrazione rispetto ad Asti città?

A = Nei paesi dell’astigiano c’è il problema che è difficile vivere, non per l’integrazione, ma perché non hai trasporto pubblico, non hai servizio, non hai le scuole; se sei straniero normalmente non hai la patente, non hai la macchina, hai figli … è complicato vivere.

Poi in realtà non lo sarebbe, se tu in quei territori hai gli strumenti minimi che sono un po’ di continuità di servizi e un mezzo che ti permetta di muoverti …  nei paesi la gente straniera vive molto meglio che in città, non hai ghetti, c’è una piccola scuola di campagna, ci vanno venti bambini e due sono i tuoi, giocano con gli altri.

Il problema è la qualità di vita delle aree interne, che è difficile per tutti, la gente va via per quella ragione lì.

Asti invece … se prendi per esempio la zona di Corso Matteotti di cui generalmente si parla … quelle sono zone della città in cui in qualche maniera l’immigrazione ha attecchito.

Automaticamente diventano delle zone da cui la città si sottrae; non è che io ti mando via, smetti di venire qui perché ci sono io e quello diventa poi un ghetto, ma non perché io ti abbia ghettizzato, perché io ho deciso di non frequentarlo più e lì è ovvio che poi dopo si creano certe dinamiche.

Poi succedono quelle cose un po’ strane …  nel senso che se tu tieni aperti quattro negozi in venti metri quadri che vendono solo alcool fino alle tre di notte, la gente beve e prima o poi si mena … non è che hanno aperto una sala da tè.

Sono zone da cui gli abitanti italiani si sono sottratti e poi diventano sempre meno praticabili.

Se io devo andare ad abitare in un appartamento in cui tre quarti dei condomini parla lingue diverse anche solo se devo fare una riunione di condominio, capire come gestire adesso l’efficientamento energetico è una grande rottura di … ti viene voglia di andare ad affittare casa o comprare da un’altra parte.

 

D = Tutti questi processi peggioreranno secondo te d’ora in poi?

A = Peggioreranno sicuramente perché ci sarà, come c’è già stato, un grosso disinvestimento rispetto a quelle che sono le politiche legate all’integrazione.

Faccio un esempio: in età scolastica ci sono amministrazioni comunali che non riconoscono più il trasporto pubblico e il bonus libri gratuito per i bambini delle elementari se figli di stranieri.

Questa è una puttanata senza senso; vai a penalizzare dei bambini, cattiveria pura che non può che peggiorare le cose e non migliora il livello dell’istruzione del percorso scolastico italiano.

È frutto dell’ignoranza …  se tu hai un bambino che è disadattato in una scuola dove sembra che sia escluso, quel disagio lì è contagioso; oppure le classi differenziali, fare delle classi o plessi scolastici in cui vengono indirizzati sistematicamente stranieri, perché non li vuoi mischiare …  e cosa crei? Le classi differenziali le conosciamo, sono state abolite con tanta fatica; adesso si ritornerà lì.

Poi per altro verso sono stati spesi anche tanti soldi nell’immigrazione perché ce n’erano; sono stati gestiti malamente, hanno dato tanti soldi a chiunque senza controllare.

Magari adesso che ce ne sono meno si spera ci sia un controllo qualitativo migliore.

Si spendevano soldi guardando delle cose molto mainstream e fashion e non problemi reali e si è perso del tempo.

L’intercultura è una bella cosa: è bello in una classe scolastica far venire i bambini che chiamano il genitore che ti racconta dei miti dell’Africa e della Cina.

Quelle cose funzionano molto bene, ma se tu poi hai una politica scolastica in cui non ti doti di insegnanti di sostegno e mediatori culturali e fai solo la giornata dell’intercultura…

Hanno finanziato tante di queste cose invece di pagare personale specializzato nel supporto in una classe multietnica.

 

D = Cosa vende il PIAM, come si può contribuire?

A = Abbiamo una trattoria a Villa Quaglina che è dentro un centro rifugiati, una bella trattoria dove si mangia piemontese, un posto per compagnie. Non vai a mangiare con la fidanzata in un centro profughi, però con i colleghi e con gli amici si, tavolate … è un bel modo per trovarsi.

Se un’azienda dice “Io una parte dei miei profitti li erogo per iniziative a sfondo sociale, serviranno all’integrazione dei cittadini stranieri, serviranno a permettere percorsi scolastici di sostegno per i bambini stranieri, a dare un’opportunità alle donne di scappare dalla prostituzione e rendersi indipendenti”, cosa può dare il PIAM come controvalore in questa logica di responsabilità sociale nelle imprese?

Uno: un sostegno anche coinvolgendo i nostri soci, tramite i nostri canali comunicativi segnalando cosa ha fatto l’azienda.

Due: welfare aziendale. Noi qua abbiamo gli psicologi che collaborano con noi, tu sei una ditta e fai una donazione al PIAM. A fronte del contributo PIAM ti eroga il servizio psicologico per i tuoi dipendenti che sono in burnout.

Abbiamo una cooperativa che fa servizi di pulizia, abbiamo il Lago Stella: tutti i tuoi dipendenti e soci se vogliono vengono e si possono fare una giornata al lago.

Oppure organizziamo una giornata qua nell’asilo con le animatrici, una bella giornata laboratoriale con bambini che sono figli delle ospiti.

Non è solamente una richiesta di carità, ci si può scambiare servizi in una logica mutualistica.
Perché noi siamo imprenditori sociali, abbiamo due milioni all’anno di bilancio e 26 dipendenti, 26 stipendi e 26 famiglie che vivono di PIAM.

A Villa Quaglina vendiamo i tagliolini: facciamo la pasta artigianale fatta con i grani antichi.

C’è anche la possibilità di andare in un posto che è un campo profughi.

Questa cosa qua è molto divertente, che vai a cercare il buon cibo in un centro d’accoglienza.

D = Cosa sogni per il PIAM per i prossimi 5/10 anni?

A = Continuare a fare quello che facciamo.

D = E per tua figlia cosa sogni per i prossimi 5/10 anni?

A = Devono farsi le spalle grosse in fretta questi ragazzini, perché non hanno più tutte le tutele che avevano quelli come noi. Sono molto più con il mondo in faccia, meno coccolati, con più difficoltà.

Crescono veloci, crescono anche molto indipendenti. C’è il rischio che qualcuno si perda perché in qualche maniera sono cambiati gli strumenti di tutela.

Il cortile di casa dove sono cresciuto era un cortile di casa parentale, tutti i bambini si conoscevano, le famiglie si conoscevano, c’era sempre qualche genitore, non ci sono più quelle dinamiche lì.

Il mondo dell’oratorio … comunque erano più protetti.

Adesso questi nostri figli crescono in ambienti che non hanno più quella serie di tutele, sono sempre o accompagnati dai genitori oppure sono in qualche maniera da soli, perciò gli strumenti di autotutela devono essere molto più forti di quelli che avevamo noi.

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